MONTE DEI COCCI…. il monnezzaio più famoso al mondo
Ogni civiltà ha la spazzatura che si merita. (Georges Duhamel)
Torniamo a scoprire i luoghi d’interesse vicino alla nostra Casa Vacanze, zona Testaccio……. Il Monte dei Cocci …….15 minuti a piedi 🚶🚶♂️ ma solamente 7 passando dentro l’ex Mattatoio, 4 minuti in bicicletta 🚴🏼♀️🚴🏼♀️
Il monte Testaccio, popolarmente detto anche monte dei cocci, è una collina artificiale a Roma, di circa 36 m di altezza, situata nell'omonimo rione Testaccio.
Il suo nome deriva dal latino mons testaceus cioè "monte di cocci" (da: testae, ossia "tegole", "anfore" o "cocci" appunto): la collina è infatti composta da numerosi strati di cocci di oltre 53 milioni di anfore in terracotta, per lo più olearie, ordinatamente disposti lì in epoca romana e provenienti dal vicino porto fluviale sul Tevere.
Per tale ragione, esso costituisce un sito archeologico unico nel suo genere.
Il monte è alto circa 36 metri sul piano stradale e 54 m s.l.m. con una superficie totale di circa 22.000 metri quadrati. Il luogo fu adibito a discarica del vicino porto fluviale dell'Emporium, dal periodo augusteo fino alla metà del III secolo, quando tale impiego si ridusse progressivamente fino ad arrestarsi completamente.
Il Porto fluviale dell'Emporium fu realizzato nel 193 a.C ai piedi dell’Aventino porto formato da una grande banchina lunga 600 m e larga 90m, reso necessario per sostenere l’arrivo delle merci.
Il monte deve la sua origine al fatto che le anfore provenienti dal porto, una volta svuotate del contenuto venduto sul mercato capitolino, non potevano essere riutilizzate, dei “vuoti a perdere”, per altri generi alimentari in quanto non smaltate all'interno e che solo una piccola parte di esse venisse riciclata come materiale di costruzione: tutte le altre venivano perciò rotte e poi ordinatamente accatastate in quello che, nell'arco di oltre due secoli, divenne un enorme cumulo innalzato poco lontano dai moli.
L'ordine con cui i materiali risultano disposti, la presenza nel terreno di calce sparsa a intervalli regolari per attenuare il cattivo odore derivante dalla decomposizione dei residui alimentari e l'esistenza di un piano inclinato ben progettato che consentiva di giungere fino in cima a bordo di carri, lasciano supporre che la discarica fosse tutt'altro che improvvisata e affidata in gestione a curatores.
Per secoli non ci sono state informazioni, in fondo il Monte dei Cocci era un “immondezzaio”, fino ad un’iscrizione dell’VIII secolo custodita nel portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin (dove è custodita la Bocca della Verità ) a quel tempo amministratrice ecclesiastica della zona: "bineas tabul (arum duarum et semis) qui sunt in Testacio" ("Vigne di due tabulae e mezzo que sono sul Testaccio").
Il monte Testaccio non fu soltanto una discarica storica ma ha un passato ludico che continua anche ai nostri giorni, il quartiere Testaccio è il centro della Movida Romana.
Per secoli i romani sfruttarono le proprietà isolanti dell'argilla per ricavare, alle pendici del colle artificiale, numerose grotte al cui interno la temperatura si attesta tutto l'anno intorno ai 10 °C.
I locali scavati tra i cocci vennero adibiti a cantine, dispense o stalle (i cosiddetti “grottini”). A partire dal medioevo essi ospitarono osterie e, in epoca moderna e contemporanea, ristoranti e locali notturni.
Ristorante su Monte dei Cocci |
Cantina scavata nel Monte dei Cocci |
La caratteristica di queste grotte era che sul fondo di ciascuna di esse veniva lasciata una parte senza intonaco sulla parete, per cui erano ben visibili le stratificazioni dei cocci accumulati; dalle fessure tra i cocci veniva fuori una corrente d'aria della giusta umidità che favoriva una ottima stagionatura del cacio-
Antica strada sotto Ristorante Li Ar Monte |
Più caratteristica invece era la gara degli stornelli a braccio, una sfida tra improvvisati menestrelli che si alternavano nell’invenzione di stornelli dedicati alla bellezza della giornata o della donna, apostrofata simpaticamente come la “bellona”. Immortalato nei versi di Gioacchino Belli l’invito di un popolano a una ballerina di Ponte di Nona: 🎵🎶”Eh vviè, ppasciocca, ar prato de Testaccio; viè, si tte schifi de bballà su cquello, la sera all’ostaria der Gallinaccio. Perch’io m’impeggneria puro l’uscello, pe bballà ‘nziem’a ttè, ddoppo er carraccio, o ‘na lavannarina o un zartarello”🎵🎶 Nel XV secolo, trasferito il carnevale in via Lata per volontà di papa Paolo II, il monte divenne punto di arrivo per la Via Crucis del Venerdì Santo, simboleggiando quindi il Golgota data la somiglianza, come testimonia una croce ancor oggi infissa sulla cima.
In seguito il monte divenne anche meta privilegiata delle “ottobrate” (abbiamo dedicato un post a ottobre 2020 alle ottobrate) le tipiche feste romane che vedevano sfilare verso le osterie e le cantine del Testaccio carretti addobbati a festa dalle "mozzatore", cioè dalle donne che lavoravano come raccoglitrici d'uva nel periodo della vendemmia: tra canti, balli, gare di poesia, giochi e chiacchiere, tra cibo e il vino dei Castelli Romani, custodito nelle cantine.
Il luogo, per la sua posizione rialzata, acquisì anche un ruolo strategico: durante l'assedio di Roma del 1849 vi fu posizionata una batteria di artiglieria per prendere di mira i francesi accampati vicino alla Basilica di San Paolo fuori le mura.
Anche durante la seconda guerra mondiale, sulla cima del colle fu installata una batteria antiaerea poggiata su basamenti di cemento, i resti dei quali sono ancora visibili.
Dopo che il luogo ebbe perso la sua funzione di discarica, l'origine dell'accumulo di cocci fu progressivamente dimenticata e intorno ad esso sorsero nel tempo improbabili leggende: una di esse sosteneva ad esempio che i cocci fossero il risultato di errori di lavorazione delle vicine botteghe di vasai; un'altra che fossero resti di urne cinerarie trasferite dai colombari della vicina via Ostiense; un'altra ancora che la collina si fosse formata con le macerie del grande incendio di Roma del 64 d.C.
Si dovette attendere il XVIII secolo perché al monte venisse riconosciuto un qualche valore storico con le prime ricerche archeologiche condotte a partire dal 1873.
Grazie alle iscrizioni rinvenute su alcuni frammenti fu infatti possibile accertare che la maggior parte delle anfore proveniva dalle coste della Bizacena (nell'odierna Tunisia) e dalla Betica (oggi Andalusia); il reperto più antico fu datato all'anno 144, il più recente al 251.
L'esame delle diverse tipologie di anfore accumulate nei vari strati, della loro provenienza e del loro contenuto dichiarato ha costituito una fonte preziosa per ricostruire la storia del commercio a Roma.
Grazie della lettura :-)
Marzia e Tony
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